L’itinerario archeologico sottomarino di Mongerbino
Antiche ancore e tanto altro, in un museo sommerso accessibile a subacquei di ogni livello

Sviluppare il turismo anche attraverso l’incremento della pratica delle immersioni. In particolare, andando alla scoperta degli itinerari archeologici sottomarini. Ovvero, quei musei naturali i cui spazi espositivi, forgiati da maree e salsedine, mostrano antichi reperti collocati direttamente dalla Storia. In Sicilia, la Soprintendenza del Mare, l’agenzia creata nel 2004 presso il Dipartimento Beni Culturali della Regione per promuovere e tutelare il patrimonio archeologico subacqueo, naturalistico e demo-antropologico delle costiere dell’isola e dei suoi arcipelaghi minori, ne ha finora allestito 13, tra cui vi è quello delle ancore di Mongerbino, il promontorio, noto anche come Capo Zafferano, che segna uno dei tratti più belli del golfo di Palermo. Il percorso, segnato da una boa distante 100 metri dalla costa, si snoda per una lunghezza di 150 metri, a una profondità tra i 15 e i 32 metri. Al momento, mostra 7 ancore in ferro: testimonianze dell’intenso traffico nautico, commerciale e militare, lungo un arco temporale che va dall’epoca romano-repubblicana a quella altomedievale e bizantina. Un’immersione sull’itinerario archeosub di Mongerbino, lo è anche nel mondo dei segreti insoluti. Anzitutto perché nelle medesima zona le sorprese potrebbero essere molte di più, e non solo consistenti in antiche ancore. Il quesito relativo a quelle ritrovate è se esse siano realmente andate perdute perché incagliatesi accidentalmente sul fondale, oppure siano state lasciate intenzionalmente cadere dalle navi, per il sopravvenire di pericoli legati a condizioni meteo-marine avverse o per il sopraggiungere di imbarcazioni nemiche o di pirati. Ipotesi, quest’ultima, molto probabile. Un’altra ipotesi, sarebbe quella legata alla probabile presenza nell’area di una antica tonnara. Le ancore, infatti, non sono disposte sul fondale in maniera casuale, ma secondo un orientamento lineare. Ciò farebbe pensare che servissero a collegare alla terraferma una parte di quel sofisticato sistema di reti, oppure a tener fermo un pontile di servizio per le barche. Arduo trovare la chiave di lettura più corretta. «Quel che è certo è che questo nuovo itinerario costituisce un valore aggiunto rispetto alla presente offerta di immersioni dei diving della costiera palermitana – sostiene Andrea Santoro, responsabile del diving Blue Shark di Santa Flavia -, si tratta, infatti, di percorsi accessibili anche ai neofiti delle immersioni». Intanto, la Soprintendenza del mare e i diving coinvolti sono al lavoro per preparare cartelle plastificate da agganciare a ciascuna ancora. Al sub sarà così possibile una comoda fruizione di informazioni, da leggere mentre osserva e tocca il reperto. ‘Pillole’ di archeologia marina, insomma, dall’importante valenza culturale. A cominciare dall’effetto di rafforzare la consapevolezza che tra i tanti musei dell’area mediterranea, i più ricchi e variegati, malgrado i continui saccheggi di reperti, restano pur sempre quelli nascosti nel blu del Mare Nostrum. (Antonio Schembri)